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Datos del documento

Original, título
Cavalleria rusticana
Original, fechas
1ª edición: 1880 (en Vita dei campi, Milano,Treves). Edición de base: Prob.: Cavalleria rusticana ed altre novelle, Milano, Treves 1892.
Fechas
1892 [edición]
Edicion
1ª ed.
ISBD
Cavalleria rusticana = Hidalguía montaraz. En: La España Moderna. — t.47, p. 135-140 (noviembre de 1892).
Fuente
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Descripción del contenido
  • Portada: «Cavalleria rusticana | (Hidalguía montaraz)».
  • Texto: i Inc. «Cuando Turiddu Macca, el hijo de la señá Nuncia, volvió de ser soldado», expl. «-¡Ah, madre mía!».
  • Portada (parte): «Cavalleria rusticana | (Hidalguía montaraz)».
  • Texto (parte): Inc. «Cuando Turiddu Macca, el hijo de la señá Nuncia, volvió de ser soldado», expl. «-¡Ah, madre mía!».
Ejemplares
  • BUB*.
Observaciones

La traducción de la novella de Verga es completa, pero incurre en algún error grave de lectura y banaliza el estilo. Una nota a pie de pág. (p. 135), dice: "El presente cuento, del ilustre novelista italiano J. Verga, ha servido de argumento al drama y á la ópera del mismo título". Se trata de la primera versión española de un texto verguiano, hasta ahora desconocida.

Traductores

Autor

Verga, Giovanni 1840 - 1922

Bibliografía

Ediciones digitales (imágenes)

  • Biblioteca Virtual de la Prensa Histórica
    <https://prensahistorica.mcu.es/es/consulta/registro.do?id=8054>

Estudios sobre el editor o el impresor

  • Yeves Andrés, Juan Antonio Et Alii, La España Moderna, catálogo de la editorial, índice de las revistas, Madrid, Libris, 2002 (con la colaboración de Fernando J. Martínez Rodríguez, Mercedes Tostón Olalla; prólogo de Hipólito Escolar Sobrino).

Textos

Original

Texto original

Cavalleria rusticana

Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll'uniforme da bersagliere e il berretto rosso della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche. Egli aveva portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata. Ma con tutto ciò Lola di Massaro Angelo non si era fatta vedere nè alla messa, nè sul ballatoio chè si era fatta sposa con uno di Licodia, il quale faceva il carrettiere e aveva quattro muli di Sortino in stalla. Dapprima Turiddu come lo seppe, santo diavolone! voleva trargli fuori le budella dalla pancia, voleva trargli, a quel di Licodia! però non ne fece nulla, e si sfogò coll'andare a cantare tutte le canzoni di sdegno che sapeva sotto la finestra della bella.
— Che non ha nulla da fare Turiddu della gnà Nunzia, dicevano i vicini, che passa le notti a cantare come una passera solitaria?
Finalmente s'imbattè in Lola che tornava dal viaggio alla Madonna del Pericolo, e al vederlo, non si fece nè bianca nè rossa quasi non fosse stato fatto suo.
— Beato chi vi vede! le disse.
— Oh, compare Turiddu, me l'avevano detto che siete tornato al primo del mese.
— A me mi hanno detto delle altre cose ancora! rispose lui. Che è vero che vi maritate con compare Alfio, il carrettiere?
— Se c'è la volontà di Dio! rispose Lola tirandosi sul mento le due cocche del fazzoletto.
— La volontà di Dio la fate col tira e molla come vi torna conto! E la volontà di Dio fu che dovevo tornare da tanto lontano per trovare ste belle notizie, gnà Lola!
Il poveraccio tentava di fare ancora il bravo, ma la voce gli si era fatta roca; ed egli andava dietro alla ragazza dondolandosi colla nappa del berretto che gli ballava di qua e di là sulle spalle. A lei, in coscienza, rincresceva di vederlo così col viso lungo, però non aveva cuore di lusingarlo con belle parole.
— Sentite, compare Turiddu, gli disse alfine, lasciatemi raggiungere le mie compagne. Che direbbero in paese se mi vedessero con voi?…
— È giusto, rispose Turiddu; ora che sposate compare Alfio, che ci ha quattro muli in stalla, non bisogna farla chiacchierare la gente. Mia madre, invece, poveretta, la dovette vendere la nostra mula baia, e quel pezzetto di vigna sullo stradone, nel tempo ch'ero soldato. Passò quel tempo che Berta filava, e voi non ci pensate più al tempo in cui ci parlavamo dalla finestra sul cortile, e mi regalaste quel fazzoletto, prima d'andarmene, che Dio sa quante lagrime ci ho pianto dentro nell'andar via lontano tanto che si perdeva persino il nome del nostro paese. Ora addio, gnà Lola, facemu cuntu ca chioppi e scampau, e la nostra amicizia finiu.
La gnà Lola si maritò col carrettiere; e la domenica si metteva sul ballatoio, colle mani sul ventre per far vedere tutti i grossi anelli d'oro che le aveva regalati suo marito. Turiddu seguitava a passare e ripassare per la stradicciuola, colla pippa in bocca e le mani in tasca, in aria d'indifferenza, e ochieggiando le ragazze; ma dentro ci si rodeva che il marito di Lola avesse tutto quell'oro, e che ella fingesse di non accorgersi di lui quando passava.— Voglio fargliela proprio sotto gli occhi a quella cagnaccia! borbottava.
Di faccia a compare Alfio ci stava massaro Cola, il vignaiuolo, il quale era ricco come un maiale, dicevano, e aveva una figliuola in casa. Turiddu tanto disse e tanto fece che entrò camparo da massaro Cola, e cominciò a bazzicare per la casa e a dire le paroline dolci alla ragazza.
— Perchè non andate a dirle alla gnà Lola ste belle cose? rispondeva Santa.
— La gnà Lola è una signorona! La gnà Lola ha sposato un re di corona, ora!
— Io non me li merito i re di corona.
— Voi ne valete cento delle Lola, e conosco uno che non guarderebbe la gnà Lola, nè il suo santo, quando ci siete voi, chè la gnà Lola, non è degna di portarvi le scarpe, non è degna.
— La volpe quando all'uva non ci potè arrivare…
— Disse: come sei bella, racinedda mia!
— Ohè! quelle mani, compare Turiddu.
— Avete paura che vi mangi?
— Paura non ho nè di voi, nè del vostro Dio.
— Eh! vostra madre era di Licodia, lo sappiamo! Avete il sangue rissoso. Uh! che vi mangerei cogli occhi!
— Mangiatemi pure cogli occhi, che briciole non ne faremo; ma intanto tiratemi su quel fascio.
— Per voi tirerei su tutta la casa, tirerei!
Ella, per non farsi rossa, gli tirò un ceppo che aveva sottomano, e non lo colse per miracolo.
— Spicciamoci, che le chiacchiere non ne affastellano sarmenti.
— Se fossi ricco, vorrei cercarmi una moglie come voi, gnà Santa.
— Io non sposerò un re di corona come la gnà Lola, ma la mia dote ce l'ho anch'io, quando il signore mi manderà qualcheduno.
— Lo sappiamo che siete ricca, lo sappiamo!
— Se lo sapete allora spicciatevi, chè il babbo sta per venire, e non vorrei farmi trovare nel cortile.
Il babbo cominciava a torcere il muso, ma la ragazza fingeva di non accorgersi, poichè la nappa del berretto da bersagliere gli aveva fatto il solletico dentro il cuore, e le ballava sempre dinanzi gli occhi. Come il babbo mise Turiddu fuori dell'uscio, la figliuola gli aprì la finestra, e stava a chiacchierare con lui tutta la sera, che tutto il vicinato non parlava d'altro.
— Per te impazzisco, diceva Turiddu, e perdo il sonno e l'appetito.
— Chiacchiere.
— Vorrei essere il figlio di Vittorio Emanuele per sposarti!
— Chiacchiere.
— Per la Madonna che ti mangerei come il pane!
— Chiacchiere.
— Ah! sull'onor mio!
— Ah! Mamma mia!
Lola che ascoltava ogni sera, nascosta dietro il vaso di basilico, e si faceva pallida e rossa, un giorno chiamò Turiddu.
— E così, compare Turiddu, gli amici vecchi non si salutano più?
— Ma! sospirò il giovinotto, beato chi può salutarvi!
— Se avete intenzione di salutarmi, lo sapete dove sto di casa! rispose Lola.
Turiddu tornò a salutarla così spesso che Santa se ne avvide, e gli battè la finestra sul muso. I vicini se lo mostravano con un sorriso, o con un moto del capo, quando passava il bersagliere. Il marito di Lola era in giro per le fiere con le sue mule.
— Domenica voglio andare a confessarmi, chè stanotte ho sognato dell'uva nera, disse Lola.
— Lascia stare, lascia stare! supplicava Turiddu.
— No, ora che s'avvicina Pasqua, mio marito lo vorrebbe sapere il perchè non sono andata a confessarmi.
— Ah! mormorava Santa di massaro Cola, aspettando ginocchioni il suo turno dinanzi al confessionario dove Lola stava facendo il bucato dei suoi peccati. Sull'anima mia non voglio mandarti a Roma per la penitenza!
Compare Alfio tornò con le sue mule, carico di soldoni, e portò in regalo alla moglie una bella veste nuova per le feste.
— Avete ragione di portarle dei regali, gli disse la vicina Santa, perchè mentre voi siete via vostra moglie vi adorna la casa!
Compare Alfio era di quei carrettieri che portano il berretto sull'orecchio, e a sentir parlare in tal modo di sua moglie cambiò di colore come se l'avessero accoltellato — Santo diavolone! esclamò, se non avete visto bene, non vi lascierò gli occhi per piangere! a voi e a tutto il vostro parentado!
— Non son usa a piangere! rispose Santa; non ho pianto nemmeno quando ho visto con questi occhi Turiddu della gnà Nunzia entrare di notte in casa di vostra moglie!
— Va bene, rispose compare Alfio, grazie tante.
Turiddu adesso che era tornato il gatto, non bazzicava più di giorno per la stradicciuola, e smaltiva l'uggia all'osteria, cogli amici; e la vigilia di Pasqua avevano sul desco un piatto di salsiccia. Come entrò compare Alfio, soltanto dal modo in cui gli piantò gli occhi addosso, Turiddu comprese che era venuto per quell'affare e posò la forchetta sul piatto.
— Avete comandi da darmi, compare Alfio? gli disse.
— Nessuna preghiera, compare Turiddu, era un pezzo che non vi vedevo, e voleva parlarvi di quella cosa che sapete voi.
Turiddu da prima gli aveva presentato il bicchiere, ma compare Alfio lo scansò colla mano. Allora Turiddu si alzò e gli disse:
— Son qui, compar Alfio.
Il carrettiere gli buttò le braccia al collo.
— Se domattina volete venire nei fichidindia della Canziria potremo parlare di quell'affare, compare.
— Aspettatemi sullo stradone allo spuntar del sole, e ci andremo insieme.
Con queste parole si scambiarono il bacio della sfida. Turiddu strinse fra i denti l'orecchio del carrettiere, e così gli fece promessa solenne di non mancare.
Gli amici avevano lasciato la salsiccia zitti zitti, e accompagnarono Turiddu sino a casa. La gnà Nunzia, poveretta, l'aspettava sin tardi ogni sera.
— Mamma, le disse Turiddu, vi rammentate quando sono andato soldato, che credevate non avessi a tornar più? Datemi un bel bacio come allora, perchè domattina andrò lontano.
Prima di giorno si prese il suo coltello a molla, che aveva nascosto sotto il fieno quando era andato coscritto, e si mise in cammino pei fichidindia della Canziria.
— Oh! gesummaria! dove andate con quella furia? piangnucolava Lola sgomenta, mentre suo marito stava per uscire.
Vado qui vicino, rispose compar Alfio, ma per te sarebbe meglio che io non tornassi più.
Lola, in camicia, pregava ai piedi del letto e si stringeva sulle labbra il rosario che le aveva portato fra Bernardino dai Luoghi Santi, e recitava tutte le avemarie che potevano capirvi.
— Compare Alfio, cominciò Turiddu dopo che ebbe fatto un pezzo di strada accanto al suo compagno, il quale stava zitto, e col berretto sugli occhi. Come è vero Iddio so che ho torto e mi lascierei ammazzare. Ma prima di venir qui ho visto la mia vecchia che si era alzata per vedermi partire, col pretesto di governare il pollaio, quasi il cuore le parlasse, e quant'è vero Iddio vi ammazzerò come un cane per non far piangere la mia vecchierella.
— Così va bene, rispose compare Alfio, spogliandosi del farsetto, e picchieremo sodo tutt'e due.
Entrambi erano bravi tiratori; Turiddu toccò la prima botta, e fu a tempo a prenderla nel braccio; come la rese, la rese buona, e tirò all'anguinaia.
— Ah! compare Turiddu! Avete proprio intenzione di ammazzarmi!
— Sì, ve l'ho detto; ora che ho visto la mia vecchia nel pollaio, mi pare di averla sempre dinanzi agli occhi.
— Apriteli bene, gli occhi! gli gridò compar Alfio, che sto per rendervi la buona misura.
Come egli stava in guardia tutto raccolto per tenersi la sinistra sulla ferita, che gli doleva, e quasi strisciava per terra col gomito, acchiapò rapidamente una manata di polvere e la gettò negli occhi dell'avversario.
— Ah! urlò Turiddu accecato, son morto.
Ei cercava di salvarsi facendo salti disperati all'indietro; ma compar Alfio lo raggiunse con un'altra botta nello stomaco e una terza nella gola.
— E tre! questa è per la casa che tu m'hai adornato. Ora tua madre lascierà stare le galline.
Turiddu annaspò un pezzo di qua e di là fra i fichidindia e poi cadde come un masso. Il sangue gli gorgogliava spumeggiando nella gola, e non potè profferire nemmeno: — Ah! mamma mia!

Paratextos

Texto de la traducción

Hidalguía montaraz

Cuando Turiddu Macca, el hijo de la señá Nuncia, volvió de ser soldado, todos los domingos se pavoneaba en la plaza con el uniforme de cazadores y la gorrita cuartelera roja, parecida á la del hombre de la buenaventura cuando pone sobre la banqueta la jaula de los canarios. Las muchachas se lo disputaban con los ojos mientras iban á misa con las narices metidas dentro del manto, y los granujillas rondaban en torno suyo como moscas. También había llevado una pipa con el rey á caballo, que parecía vivo; y encendía los fósforos en la parte de atrás de los pantalones, alzando la pierna cual si diese una patada. Mas, con todo y con eso, Lola, la hija del mesonero Angel, no se había dejado ver en misa ni en los porches, pues habíase casado con uno de Licodia, el cual era carretero y tenía en la cuadra cuatro mulas de Sortino. Tan pronto como lo supo Turiddu, ¡bendito sea el demonio!, quiso echarle fuera las tripas, quiso sacárselas á aquel de Licodia; pero no hizo nada y se desahogó yendo á cantar todos los cantares que sabía de desprecio bajo la ventana de la bella.
— Pero, ¿no tiene nada que hacer Turiddu, el hijo de la señá Nuncia —decían los vecinos— que se pasa las noches cantando como un pájaro solitario?
Al cabo se encontró casualmente con Lola, que volvía del viaje á Nuestra Señora del Peligro; y al verle, no se puso pálida ni encendida, como si nada hubiera tenido que ver con él.
—¡Benditos los ojos que te ven! —la dijo.
—¡Oh! Compadre Turiddu, ya me dijeron que habías vuelto a primeros de mes.
—¡También a mí me han dicho otra cosa! —respondió él.— ¿Conque es verdad que te has casado con el compadre Alfio, el carrerero?
—¡Tal ha sido la voluntad de Dios! —contestó Lola, apretándose por debajo de la barba las dos puntas del pañuelo.
— ¡La voluntad de Dios la hacéis vosotras, con el tira y afloja según os tiene cuenta! ¡La voluntad de Dios fué que había yo de volver desde tan lejos para encontrar estas buenas noticias, señá Lola!
El pobrecillo aún trataba de hacerse el valiente, pero se le había puesto ronca la voz; y andaba tras de la muchacha tambaleándose, á compás de la borlita de la gorra cuartelera que bailaba de un hombro al otro. En honor de la verdad dábale a ella mucha lástima el verle con la cara tan larga, pero no tenía ánimos para halagarle con buenas palabras.
— Oye, compare Turiddu — le dijo al fin— déjame reunirme con mis compañeras. ¿Qué dirían en el país, si me viesen contigo?…
— Es justo —respondió Triddu— ahora que estás casada con el compadre Alfio, que tiene dos pares de mulas en la cuadra, es preciso no dar qué decir a la gente. En cambio, mi pobrecita madre tuvo que vender nuestra mula baya y aquella miaja de viña junto al pasadizo, por el tiempo en que fuí soldado. Pasó aquel tiempo en que Berta hilaba, y ya no te acuerdas de cuando hablábamos por la ventana del corral y me regalaste aquel pañuelo, antes de irme; que bien sabe Dios cuantas lágrimas he llorado por dentro al marcharme lejos, tan lejos que se perdía el nombre de nuestro país. Ahora, adiós, señá Lola; hagamos cuenta que hay tiros y es preciso salvarse, y nuestra amistad ha concluido.
La señá Lola se casó con el carretero; y los domingos poníase al balcón, con las manos sobre el vientre, para dejar ver los gruesos anillos de oro que la había regalado su marido. Turiddu seguía pasando y repasando por la callejuela, con la pipa en la boca y las manos en los bolsillos, con aire de indiferencia y mirando á las mozas; mas por dentro se reconcomía de que el marido de Lola tuviera todo aquel oro, y de que ella fingiese no reparar en él cuando pasaba.
— ¡Voy á jugársela ante sus mismos ojos á esa perra! —balbuceaba.
Frente al compadre Alfio vivía el tío Colás, el viñador, el cual decían que era rico como un cerdo, y tenía una hija en casa. Tanto habló y tanto hizo Turiddu, que logró entrar a sus anchas en casa del tío Colás, y comenzó a frecuentarla y á decir palabritas dulces á la chica.
—¿Por qué no vas a decirle á la señá Lola estas cosas tan bonitas? —respondía Santa.
— La señá Lola es una señorona. La señá Lola está ahora casada con un rey de corona.
— Yo no merezco el rey de corona.
— Vales tú por cien Lolas; y conozco yo á uno que no miraría á la señá Lola ni al santo de su nombre donde tú estés; porque la señá Lola no es digna de llevarte los zapatos, no es digna.
— Cuando la zorra no pudo alcanzar las uvas…
— Dijo: "¡Qué hermoso eres, racimito mío!"
— ¡Eh, quietitas las manos, compadre Turiddu!
— ¡Qué! ¿Tienes miedo de que te coma?
— Yo no le tengo miedo ni á ti ni á Dios.
—¡Ah! Tu madre era de Licodia, ya lo sabemos. ¡Tenéis más mala sangre! ¡Ajajay, te tragaría con los ojos!
— Pues cómeme con los ojos, que por eso no quedarán migajas. Pero entre tanto, échate encima aquel brazado de sarmientos.
— Por ti me echara yo á cuestas toda la casa. ¡Vaya si me echaría encima!
Ella, por no ponerse encarnada, le tiró un leño que tenía á mano y por milagro no le dió.
— Expliquémonos, que las charlas no hacen fagotes de sarmientos.
— Si yo fuese rico, me buscaría una mujercita como tú, señá Santa.
— Yo no me casaré con un rey de corona, como la señá Lola; pero tengo mi dote, para cuando el Señor me mande alguien.
—¡Ya lo sabemos que eres rica, ya lo sabemos!
—Pues entonces, si lo sabes, explícate ya y despacha; que padre está para venir, y no quisiera que me encontrase en el corral.
El padre empezaba a torcer el morro, pero la chica fingía no advertirlo; porque la borlita de la gorra cuartelera del cazador le había hecho cosquillas en el corazón, y le bailaba siempre delante de los ojos. Como el padre plantó en la puerta a Turiddu, la hija le abrió la ventana; y se estaba charla que te charlarás con él toda la noche, que el vecindario entero no hablaba de otra cosa.
— Estoy loco por ti —decía Turiddu— y pierdo el sueño y el apetito.
— Conversación.
— Quisiera ser hijo de Víctor Manuel para casarme contigo.
— Palabrería.
—¡Por la Virgen, que te comería como el pan!
— Charla.
— ¡Ah, por mi honor!
— ¡Ah, madre mía!
Lola, que todas las noches escuchaba escondida detrás de un tiesto de albahaca, poníase pálida y roja, hasta que una vez llamó a Turiddu.
— Conque, compadre Turiddu, ¿ya no se saludan los antiguos amigos?
—¡Ay! —suspiró la joven. — ¡Feliz quien pueda saludarte!
— Pues si tienes ganas de saludarme, ya sabes cuándo estoy en casa —respondió Lola.
Turiddu volvió á saludarla tan á menudo, que reparó en ello Santa, y le dió con la ventana en los hocicos. Cuando pasaba el cazador, los vecinos le señalaban con una sonrisa ó con un movimiento de cabeza. El marido de Lola se habia marchado á las ferias con sus mulas.
— El domingo quiero ir á confesarme, que esta noche he soñado con uvas negras —dijo Lola.
— ¡Déjalo estar, espérate! —suplicaba Turiddu.
—No; ahora que se acerca la Pascua, mi marido querría saber por qué no he ido á confesarme.
—¡Ah!—murmuraba Santa, la del tío Colás, aguardando de rodillas su turno ante el confesonario, donde Lola estaba desembuchando sus pecados.— ¡Por mi alma, no quiero mandarte á Roma por la penitencia!
El compadre Alfio volvió con sus mulas, cargado de dineros, y trajo de regalo á su mujer un hermoso vestido nuevo para los días de fiesta.
—¡Razón tienes para traerla regalos —le dijo la vecina Santa— porque mientras estás fuera, tu mujer te adorna la casa!
El compadre Alfio era de esos carreteros que llevan la gorra sobre la oreja, y al oír hablar de tal modo acerca de su mujer, cambió de color como si le hubiesen apuñalado.
— ¡Demonios coronados! —exclamó.— ¡Si no has visto bien, no voy á dejarte ojos para llorar, ni á ti, ni á toda tu parentela!
— ¡No acostumbro á llorar! —respondió Santa. — Ni siquiera he llorando cuando con estos ojos he visto á Turiddu, el de la señá Nuncia, entrar de noche en casa de tu mujer.
— Que te conserves buena, y tantas gracias —contestó el compadre Alfio.
— Tan pronto como regresó el aldeano, Turiddu dejó de frecuentar de día la callejuela, y para no dar recelos pasaba el día en la taberna con los amigos; la víspera de Pascua tenían en la mesa un plato de salchicha. Como entrase el compadre Alfio, sólo en la manera que tuvo de clavarle éste los ojos comprendió Turiddu que había venido para aquel asunto, y dejó el tenedor en el plato.
—¿Tenías algún recado que darme, compadre Alfio? —le dijo.
— No tengo ninguno, compadre Turiddu; es que hace tiempo que no te veía, y quiero hablar contigo de lo que sabes.
Turiddu le había presentado al principio la copa, mas el compadre Alfio la rechazó con la mano. Entonces se levantó Turiddu, y le dijo:
— Aquí estoy, compadre Alfio.
El carretero le echó los brazos al cuello.
—Si mañana quieres venir a la chumberas de Canziria, podremos hablar de aquel asunto compadre.
— Espérame en la encrucijada al despuntar el sol, y nos iremos juntos.
Con estas palabras diéronse el beso de desafío. Turiddu apretó entre los dientes la oreja del carretero y prometióle así solemnemente no faltar á la cita.
Los amigos habían dejado a la chita callando la salchicha, y acompañaron á Turiddu hasta casa. La pobrecita señá Nuncia le esperaba hasta muy tarde todas las noches.
— Mamá —dijo Turiddu— ¿se acuerda de cuando me fuí soldado, que creía no volver más a verme? Pues déme un buen beso como entonces, porque mañana por la mañana me iré muy lejos.
Antes de ser de día agarró la navaja de muelles, que tenía escondida debajo del heno desde cuando cayó quinto, y se puso en camino para las chumberas de Canziria.
— ¡Oh! ¡Jesús, María y José! ¿A dónde vas con tanta furia? —gimoteaba Lola con sobresalto, mientras su marido disponíase á salir.
— Voy aquí cerca —respondió el compadre Alfio— pero mejor sería para ti que ya no volviese más.
Lola, en camisa, rezaba al pié de la cama y estrechaba contra la boca el rosario que le había traído de los Santos Lugares fray Bernardino, y recitaba todas ave marías que cabían en él.
— Compadre Alfio —comenzó Turiddu, después de andar un trozo de camino junto á su acompañante, el cual iba callado y con la gorra echada sobre los ojos.— Es tanta verdad como Dios; sé que he hecho mal y me dejaría matar. Pero antes de venir aquí he visto a mi vieja, que se había levantado para verme partir, con el pretexto de arreglar el gallinero, como si se lo diese el corazón; y como hay Dios, te mataré como un perro para no hacer llorar á mi viejecita.
— Así va bueno— respondió el compadre Alfio, quitándose el chaleco— y pincharemos los dos de firme.
Entrambos tiraban bien la navaja; á Turiddu le tocó el primer tajo, pero tuvo tiempo de pararlo con el brazo; al devolverlo, lo devolvió bueno y tiró un viaje a la ingle.
— ¡Ah, compadre Turiddu, propiamente parece que tienes intención de matarme!
— Sí, ya te lo he dicho; ahora que he visto á mi vieja en el gallinero, me parece tenerla siempre delante de los ojos.
—¡Anda, pues abre bien los ojos —le gritó el compadre Alfio— que voy á darte una buena!
Como estaba en guardia todo encogido para apretarse con la mano izquierda la herida, que le dolía, y casi rozaba el suelo con el codo, cogió rápidamente un puñado de tierra y lo arrojó á los ojos de su adversario.
— ¡Ah —rugió Turiddu cegado— muerto soy!
Trataba de salvarse dando desesperados saltos hacia atrás; pero el compadre Alfio le alcanzó con otra puñalada en el estómago y un tajo en el cuello.
— ¡Y van tres! esta es por la casa que me has adornado. Ahora dejará tu madre quietas á las gallinas.
Turiddu dió unos pasos vacilantes acá y allá por entre los nopales, y al fin desplomóse como una peña. Brotábale la sangre con espumoso gorgoteo por el cuello, y ni siquiera pudo decir claro:
— ¡Ah, madre mía!
G. Verga.

Comentarios

Texto extraído del trabajo de M. Nieves Muñiz Muñiz, “La prima traduzione di Verga in Spagna”, en AA.VV.,Omaggio a Natale Tedesco, Palermo, 2002, en prensa).